Negli anni ’90 il “popolo delle partite IVA” era costituito da piccoli artigiani, imprenditori, commercianti e professionisti. Tutti uniti e arrabbiati per l’eccessivo peso fiscale, ugualmente delusi da politica e sindacati, ma comunque vitali. L’Italia era una delle 7 nazioni al mondo con l’economia più fiorente. Il nostro paese era un’eccellenza manifatturiera e il tessuto sociale era garantito dall’occupazione in ogni anello delle catene produttive.
Stritolati dalla crisi
Dall’ultimo decennio del secolo scorso, il sistema economico ha richiesto una trasformazione, in cui si è assistito alla sostituzione del fattore lavoro con il capitale (esplosione degli investimenti in tecnologia). Ciò ha comportato la progressiva concentrazione delle imprese in conglomerati sempre più grandi, in mano a capofila multinazionali, che hanno fatto della delocalizzazione e della globalizzazione delle catene produttive il proprio modus operandi.
Alla base di questa trasformazione, le crisi economiche indotte, con lo Stato messo in condizioni tali da non poter difendere le proprie imprese e cittadini. Basti pensare al “divorzio” fra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro, l’entrata nel sistema Euro, la privatizzazione dell’IRI e l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione, che hanno, di fatto, privato lo Stato (chiunque sia al Governo) della possibilità di attuare qualsiasi politica economica autonoma.
A farne le spese, è stato anche e soprattutto il popolo delle partite IVA: dal 1990, al ritmo di 10-15% all’anno, artigiani e commercianti hanno gettato la spugna, stritolati dalla crisi, per andare a prestare gli stessi servizi alle dipendenze di imprese più grandi.
Da imprenditori a poveri e precari
Le nuove partite IVA sono giovani, povere, neo-laureate, costrette ad accettare le stesse mansioni e obblighi di un dipendente, ma senza le relative tutele (abolite dal Jobs Act, in favore di una presunta flessibilità, che si traduce in precarietà).
Il 25% di queste giovani partite IVA vive sotto la soglia di povertà. Non è quindi difficile comprendere come la massima aspirazione di un giovane non sia più diventare “imprenditore di se stesso”, ma dipendente di una grande azienda o dello Stato.
Le partite IVA, un’eccellenza sempre meno italiana
In base ai dati del 2022, l’Italia risulta ancora al primo posto nella UE per numero di lavoratori autonomi: un quinto (22%) delle persone in attività in Italia di età compresa tra 15 e 74 anni (quasi cinque milioni), corrispondenti a un sesto del totale europeo. Il 70% delle partite IVA è costituito da persone fisiche, il 22,3% da società di capitali e solo il 3,3% da società di persone. Le attività professionali sono circa il 19% del totale, seguite dal commercio (18,3%) e dall’edilizia (11%).
Circa il 20% delle partite IVA di nuova apertura è intestato a persone nate all’estero. Le maggiori flessioni hanno interessato l’agricoltura (-31%), il commercio (-26,6%) e i servizi d’informazione (-8,5%).
La “distruzione creativa” di Mario Draghi
Alla fine del 2019, la crisi del sistema finanziario globale (per tamponare la quale si è fermato il mondo con la “pandemia Covid-19”) ha portato un’ulteriore accelerazione nelle politiche di distruzione del lavoro autonomo e accentramento produttivo. Tale obiettivo è stato apertamente dichiarato nel documento “Rivitalizzare e Ristrutturare il Settore Aziendale Post-Covid” (Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-Covid) rilasciato nel Dicembre 2020 dal “Gruppo dei 30” (Group of Thirty), a firma di Mario Draghi, in veste di copresidente del comitato direttivo del Gruppo.
Nel documento si legge:
“I governi dovrebbero incoraggiare la trasformazione aziendale necessaria o auspicabile, e aggiustamenti nell’occupazione. Ciò potrebbe richiedere una certa quantità di “distruzione creativa”, con la chiusura o ridimensionamento di alcune aziende, mentre altre aprono, e alcuni lavoratori devono spostarsi tra aziende e settori, con un’adeguata riqualificazione e assistenza transitoria. Tuttavia, anche i governi che sostengono tale adattamento in linea di principio potrebbero dover adottare misure per gestire i tempi della distruzione creativa, per tenere conto di effetti a catena di spostamenti eccessivamente rapidi, come per regimi di insolvenza che potrebbero divenire soverchianti”
Alla luce di questo documento, non sorprende la rotta verso il mare disseminato di iceberg che Mario Draghi impostò quando prese ufficialmente il timone della nave Italia. Tale rotta è tutt’ora mantenuta da chi lo ha seguito e le partite IVA sono sicuramente fra coloro destinati a subire gli impatti più grandi.