LIBOR addio: una guerra valutaria

LIBOR addio: una guerra valutaria?

La fine del LIBOR (London Interbank Offered Rate), una delle più importanti variabili di riferimento nei mercati finanziari, è un evento cruciale. Il LIBOR è stato utilizzato per decenni come tasso di riferimento per gli interessi su contratti derivati, prestiti, mutui e altri strumenti finanziari. Indirettamente, il LIBOR influenzava quindi anche i tassi dei prestiti e mutui ai privati.

La fine del LIBOR è stata decisa perché questo tasso è stato oggetto di gravi manipolazioni da parte di alcune banche. Scandali come quello del 2012, uniti a ragioni geopolitiche, hanno portato alla sua graduale eliminazione. Dal 31 Dicembre 2021, la pubblicazione della maggior parte dei tassi LIBOR in varie valute è stata interrotta. Con alcune eccezioni, per consentire una transizione graduale a nuovi tassi di riferimento.

La transizione dal LIBOR si è conclusa il 30 Settembre 2024 e ha comportato adeguamenti significativi nel mercato finanziario. Cambiano di conseguenza anche gli equilibri internazionali. Fino ad oggi, Londra e la sua sterlina hanno avuto la meglio nella guerra tra le valute, proprio grazie al LIBOR. Da qui in avanti la situazione è destinata a cambiare. In particolare, la fine del LIBOR libera il dollaro dai condizionamenti della finanza UK, riportandone il controllo pieno sotto la FED.

Cos’era il LIBOR?

Istituito nel 1986, il LIBOR era un tasso di interesse di riferimento che rappresentava il costo medio degli interessi che le banche principali di Londra applicano sui prestiti a breve e medio termine all’interno del proprio circuito.

Le grandi banche si prestano vicendevolmente liquidità, spesso per tempi molto brevi, a tassi di interesse più bassi di quelli praticati dalle banche centrali. Il LIBOR era una stima del costo degli interessi su questi prestiti interbancari di breve o media durata (da un giorno a un anno). Ogni giorno, diverse grandi banche indicavano a un gruppo di esperti il tasso stimato per prendere in prestito soldi dalle altre banche. Il LIBOR risultava dalla media di questi tassi.

Il significato del LIBOR

Il LIBOR variava in funzione della facilità con cui le banche reperiscono liquidità per le proprie operazioni, nonché del livello di rischio legato ai prestiti interbancari. Era quindi un indice della “salute” e del sentimento di “fiducia” del sistema bancario.

Rappresentando inoltre “il costo” della liquidità per le banche, il LIBOR influiva anche sui prestiti e mutui concessi da queste a privati e imprese. Ad esempio, un mutuo a tasso variabile per l’acquisto di una casa poteva essere legato al LIBOR: il tasso di interesse pagato poteva quindi variare in base alle variazioni del LIBOR. In sostanza, il LIBOR è stato fino ad oggi una specie di “termometro” della salute e stabilità del sistema bancario.

Il ruolo del LIBOR negli equilibri monetari

L’importanza del LIBOR sul mercato globale era ancora maggiore di quella sui mercati locali. Per comprenderlo, occorre capire meglio alcuni aspetti della generazione del denaro.

La maggior parte del denaro utilizzato nelle transazioni finaziarie ed economiche viene “generato” direttamente dalle banche private, senza l’intervento delle banche centrali. Grazie al meccanismo della riserva frazionaria, ogni banca può infatti dare in prestito più denaro di quanto ne riceva in deposito. Ad esempio, in Italia, la riserva frazionaria è pari all’1% e ciò consente alle banche di prestare fino a 99 volte la quantità di moneta che hanno in deposito.

Se applichiamo questo sistema ai depositi/prestiti in dollari, il risultato è che le banche internazionali possono generare dollari indipendentemente dalle decisioni della banca centrale USA (la FED). Il costo a cui veniva fatta questa operazione era determinato proprio dal LIBOR. Nell’ambito del mercato europeo, ciò consentiva di avere a disposizione dollari (ad esempio per pagare materie prime come petrolio o gas) a un costo non determinato dalla FED. Sempre per questo meccanismo, la FED era inoltre impossibilitata a controllare la quantità totale di dollari circolanti.

Il LIBOR aveva quindi un’importanza enorme nell’equilibrio finanziario e geopolitico globale, dando di fatto alla finanza londinese il potere di interferire nelle politiche monetarie degli USA.

Dopo la crisi bancaria e gli scandali, le autorità di regolamentazione finanziaria hanno deciso di sostituire il LIBOR con tassi di riferimento più affidabili, basati su transazioni reali. Questi tassi riflettono condizioni di mercato interne e sono meno legati al sistema globale del mercato interbancario. Sono inoltre basati su dati di mercato più trasparenti e verificabili rispetto al LIBOR, che si fondava su stime fornite dalle banche stesse.

  • Il SOFR (Secured Overnight Financing Rate) negli Stati Uniti, promosso dalla Federal Reserve, si basa su transazioni effettive nel mercato dei Treasury Repurchase Agreements (detto anche Repo), rendendolo più affidabile e meno soggetto a manipolazioni estere.
  • L’€STR (Euro Short-Term Rate) nell’area dell’euro, promosso dalla BCE.
  • Il SONIA (Sterling Overnight Index Average) nel Regno Unito, promosso dalla Bank of England.

Riduzione dell’integrazione globale

Le grandi banche centrali come la BCE (Banca Centrale Europea), la Bank of England (Banca d’Inghilterra) e la Federal Reserve (la banca centrale degli Stati Uniti) hanno fino ad oggi collaborato per garantire la stabilità del sistema finanziario globale, in cui il LIBOR era centrale. Con la fine del LIBOR ogni regione economica avrà un proprio tasso di riferimento, riflettendo meglio le caratteristiche del proprio mercato finanziario. Ciò porterà una maggiore frammentazione tra i diversi sistemi valutari e finanziari.

Competizione valutaria

La fine del LIBOR non scatena direttamente una guerra tra valute, ma crea un contesto in cui le valute principali (dollaro, euro, sterlina), pur restando strettamente legate l’una all’altra, potrebbero dover competere più attivamente per attrarre capitali.

Ogni banca centrale attuerà la propria politica monetaria, in funzione delle esigenze dell’area in cui opera. Al contempo, la maggiore autonomia dei tassi di riferimento locali, potrebbe amplificare le differenze tra le politiche monetarie, causando divergenze nei tassi di cambio e nei rendimenti sui mercati finanziari. Ad esempio:

  • se la FED adotta una politica più aggressiva di aumento dei tassi, per combattere l’inflazione, ciò potrebbe rafforzare il dollaro rispetto all’euro o alla sterlina;
  • se la BCE, invece, mantiene tassi bassi per stimolare la crescita economica, ciò potrebbe indebolire l’euro, creando squilibri nei tassi di cambio e influenzando le esportazioni e importazioni tra le regioni;
  • se il SOFR negli Stati Uniti indica tassi più alti, potrebbe attrarre investimenti verso il dollaro;
  • se l’€STR in Europa resta più basso, i capitali potrebbero preferire l’eurozona per prendere in prestito a costi inferiori.

Questa divergenza in termini di politiche monetarie e/o tassi di riferimento porta a una sorta di “competizione valutaria”, in cui le decisioni delle banche centrali si riflettono nel valore delle loro valute. In pratica, i differenziali nei tassi di interesse e la forza relativa delle politiche monetarie locali potrebbero causare flussi di capitale tra aree valutarie. Ciò amplificherebbe le dinamiche di apprezzamento o deprezzamento delle valute.

I possibili impatti sull’Euro

In Europa e USA è in corso da decenni il processo di deindustrializzazione: la globalizzazione delle catene produttive spinge le aziende a delocalizzare. Ciò ha comportato, per contro, la crescita delle economie emergenti, come Cina e India. Il processo in Europa si è ulteriormente accelerato con le recenti scelte suicide adottate dalla UE:

  • in ambito di politica estera – sanzioni commerciali e guerra per procura alla Russia, con cui si è rinunciato alla disponibilità di forniture energetiche affidabili e a basso costo;
  • nella gestione del mercato energetico – istituzione del TTF (Title Transfer Facility) e liberalizzazione (alias privatizzazione e deregulation) del mercato, con cui si è dato mano libera alla speculazione da parte degli operatori energetici.

La deindustrializzazione implica il peggioramento della bilancia commerciale: il valore dei beni esportati cala, mentre cresce quello dei beni importati. Ne consegue che, se la bilancia commerciale di una nazione/zona diventa negativa, la richiesta di valuta estera (tipicamente dollari USA) per pagare le importazioni, diventa maggiore della richiesta di valuta interna da parte di chi ne acquista le esportazioni. In sostanza: chi ha la bilancia commerciale negativa è costretto ad acquistare valuta estera.

Con la fine del LIBOR, come abbiamo visto, per i paesi europei questo acquisto non può più avvenire a tassi di interesse favorevolmente manipolati, ma solo ai tassi ufficiali stabiliti dalla banca centrale competente (cioè la FED, nel caso del dollaro). In alternativa, si possono vendere euro per acquistare dollari, ma ciò ne comporta la svalutazione.

La logica conseguenza potrebbe essere l’acuirsi delle tensioni e frizioni all’interno dell’eurozona. I paesi con la bilancia commerciale in attivo (Germania e Italia) saranno contrapposti a quelli con la bilancia in negativo (Francia). Senza l’effetto “tampone” del LIBOR, le differenti necessità in termini di politica monetaria da adottare, saranno quindi ancora più marcate e ciò potrebbe rappresentare la goccia che fa traboccare il vaso dell’Euro.

08/10/2024
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